Europa Express

Europa Express

Il progetto iniziale prevedeva un viaggio nell'Europa dell'est, ma per motivi burocratici (limitazioni assicurazione auto) abbiamo ripiegato per l'Europa centrale. Visto il cambiamento di programma, ci siamo ritrovati ad avere un itinerario piuttosto fumoso (¹) ed incompleto. L'unica tappa sicura era Monaco, perché in quel periodo c'era la Münchener Oktober Fest; poi orientativamente saremmo andati verso Amsterdam e poi chissà. Gianluca, Giuseppe e Guglielmo ci aspettavano a Tolmezzo, vicino Udine, a 711 Km da casa. Le foto non sono di buona qualità in quanto derivanti da scansioni di sviluppi su carta fotografica.... eh sì non erano ancora diffuse le fotocamere digitali compatte e tantomeno telefoni in grado di acquisire immagini... anzi io il telefono non l'avevo nemmeno! Sono passato a ritirare l'Opel Zafira ( Grostmobile © ) nel tardo pomeriggio ma io e Daniele siamo partiti solo dopo Cena.

Nella foto: La torre dello stand Paulaner sovrastava tutta la festa, richiamando la gente come un luogo di ritrovo e di conforto, come il campanile di una chiesa

 

Stai guardando la versione pubblica del documento. Sei sei un compagno di viaggio puoi accedere ad alcune citazioni in più che per gli altri lettori non avrebbero alcun senso. Se ti interessa puoi visualizzarli rispondendo alla seguente domanda:
Quale era la destinazione ufficiale di Grost?   

Due dei sette posti disponibili erano stati sacrificati per i bagagli, il sospetto che avremmo viaggiato un po' scomodi cominciava a farsi sentire. Prese di corsa un po' di audiocassette ad hoc (Deep Purple, Led Zeppelin, Pink Floyd e Queen) ci avviamo. Mentre guidavo sulle note strade della provincia aquilana mi chiedevo cosa avremmo incontrato durante il viaggio, da un lato ero eccitato e dall'altro inquieto. Chissà se Daniele aveva gli stessi miei pensieri... intanto bisognava arrivare fino a Tolmezzo; prima di allora già quello sarebbe stato un bel viaggio, ma era solo l'inizio; un caffè al Bar dello Stadio e via.

Facciamo per la prima volta rifornimento all'altezza di Rimini, la stanchezza comincia a farsi sentire, la notte precedente avevo dormito circa quattro ore, non ricordo perché... forse per l'agitazione. Lascio la guida a Daniele soltanto verso le 4:00, dopo Venezia, in quanto cominciavo a vedere macchine con quattro luci di posizione.

Come d'accordo telefonico raggiungiamo gli altri, reduci da una notte in discoteca, all'Autogrill Ledra, l'ultimo prima di Tolmezzo. Dopo gli usuali convenevoli riprendiamo l'autostrada per raggiungere il convitto dove alloggiava Giuseppe. Man mano che ci avvicinavamo, nella notte fonda, potevo comunque intravedere delle enormi ombre oscurare il riverbero delle nuvole. Daniele intanto cercava di descrivermi il posto (c'era già stato). Per la notte ci sistemammo abusivamente in camere libere, io in particolare mi sistemai in una stanza il cui lavabo aveva qualche problemino... nella stanza aleggiava un leggero lezzo, non era fortissimo, pensai che mi ci sarei abituato e quindi mi offrii come volontario per passarci la notte. La pensai diversamente la mattina seguente quando, a causa forse dell'attività ehm.... idrosanitaria degli altri ospiti della struttura, cercavo disperatamente di tenere il naso vicino la coperta militare che mi aveva dato Giuseppe. Verso le 10:00 questo stratagemma si rivelò totalmente inefficace e non riuscii più a riprendere sonno. Fui contento dell'arrivo di Giuseppe, in quanto segnava la fine del calvario.

Forse prendendocela troppo comoda, acquistiamo diversi panini, con affettati vari. Per la sera dovevamo essere all'oktober fest. Dopo un terrificante rifornimento self service a Tarvisio, ultima cittadina prima dell'Austria, cerchiamo inutilmente un chiosco per il cambio valuta, anche perché è sabato, se poi ci aggiungiamo il fatto che per fare rifornimento abbiamo saltato l'autogrill dove era possibile acquistare l'adesivo per attraversare l'Austria... Fantozzi è un dilettante. Il primo cambio lo facciamo su un autogrill austriaco, da polli, pagando la doppia commissione (lira-scellini-marchi). Dopo una breve discussione con una vacca austriaca che aveva fatto il conto in scellini (Guglielmo aveva pagato in marchi) ripartiamo senza prevedere ulteriori soste.

Arriviamo a Monaco che il sole ha quasi timbrato il cartellino, ovviamente entriamo in città dalla parte opposta dell'oktober fest... ma non lo sapevamo ancora. Giriamo completamente a caso cercando manifesti che indicassero questo evento di fama internazionale... nulla. Chiediamo informazioni a varie persone, tra cui un tassista, ma gli interpellati o ignorano completamente la posizione della festa (!!!) Oktober Fest oppure ci dicono di andare dritti... peccato che la direzione non è sempre la stessa. Fortunatamente Guglielmo può utilizzare il suo cellulare anche fuori del territorio italiano e quindi chiede informazioni ad un suo amico che sta lì all'oktober fest. Trovato il quartiere sulla piantina della città e (cosa più difficile ) trovata la nostra posizione all'interno della città, io e Daniele ci improvvisiamo navigatori. Riusciamo a raggiungere il quartiere indicato, ma siamo ancora lontanti.
Chiediamo informazioni a due ceffi dentro una vecchia coupée che, appena sentono "oktober fest", si fomentano e ci fanno capire di seguirli... come se fosse facile. Il primo segno ci è dato da due enormi tank di fermentazione visibili dietro una grande vetrata all'interno di un edificio, più tardi, quando ormai abbiamo perso i due alcolisti, cominciamo a vedere gente che in massa occupa i marciapiedi e le striscie pedonali, barcollanti, danzanti, con i costumi tradizionali o con ridicoli cappelli da giullare. Alla fine è la ruota panoramica a svelarci la vera posizione della festa. Parcheggiamo proprio davanti una delle quattro entrate, gioendo (scioccamente) per la fortuna, e dirigendoci verso lo stand della Paulhaner.

Tutto ci saremmo immaginati tranne che all'oktober fest, dove la birra scorre a fiumi (formando laghi di piscio), fosse possibile vagare per circa due ore senza riuscire ad acquistare un miserabile boccale di birra. Dopo inutili file presso stand chiusi ci decidiamo a mangiare qualcosa presso chioschi ambulanti. Poi ci proviamo di nuovo: alla fine si libera mezzo tavolo tra i posti all'aperto dello stand della Paulhaner. Guglielmo resta in piedi ma l'importante è bere qualcosa. Insieme a noi siede un gruppo di inglesi. Cerchiamo di scambiare qualche parola ma una cosa è leggerlo l'inglese, un'altra è parlarlo. Dopo aver placcato il cameriere con una francesina riusciamo a farci dare qualche boccale.
La cosa che subito colpisce della birra tedesca è la totale assenza di gas. Tanto che il boccale da un litro finisce ben presto. Siamo riusciti a bere "soltanto" circa tre litri di birra a testa e man mano che la birra scendeva, il discorso in pseudo-inglese con i compagni di tavolo diveniva più semplice e fluido.
Ad un certo punto abbiamo sentito la necessità di ehm... pisciare... quando mi sono alzato mi sono fatto indicare dove fossero i bagni; in realtà mi hanno indicato un intero viale. Mi sono avvicinato ad una recinzione in legno che delimitava la festa da un'area isolata, attirato da altre persone in procinto di espletare i propri bisogni. In prossimità della recinzione però, lì dove finiva l'asfalto, sembrava ci fosse una grossa pozzanghera. Mi sembrò subito strano, visto che ricordavo una giornata serena. Soltanto mentre camminavo su due tavole che portavano in un angolo della recinzione realizzai (aiutato dal fetore generale) che avrei fatto bene a non mettere un piede in fallo!! Dopo aver cantato su richiesta degli ignari inglesi una pietosissima "mala femmena" (tanto che gli italiani del tavolo accanto si accorsero della nostra nazionalità solo quando intonammo "oh sole mio") e dopo aver assistito a qualche disordine locale (scazzottate varie) siamo andati tutti verso le giostre nel tentativo di vomitare sulla folla sottostante. Fortunatamente le avevano chiuse... eh sì! L'Oktober Fest chiude alle 23:30 circa.
Forse era mezzanotte quando salutammo i londinesi per tornare alla macchina, attratti però da una chiesa (S.Paul), io e Gianluca convincemmo gli altri ad uscire dalla parte opposta della zona fiera per ammirare la costruzione illuminata.
Ci decidemmo a ripartire; tornati verso la zona fiera qualcuno disse: "Ma la macchina è sparita!", "Tranquillo... è dall'altra parte" lo rassicurai. Girato l'angolo e raggiunta la seconda entrata quello di prima: "C'hanno fregato la macchina!!!", "Tranquillo... è dall'altra parte", dissi di nuovo. Ma quando raggiungemmo la terza entrata fui io a dire "Cazzo, qui doveva esserci la macchina!!". Dopo un certo panico iniziale, ci convincemmo che non ce l'avevano fregata ma che ce l'avevano caricata quelli della Polizei. Infatti. Quando raggiungemmo la più vicina stazione, sulle scale sedevano altri due che avevano lo stesso problema... italiani anche loro, dicevano che altri loro amici erano dentro a capire cosa fare. Entrammo, dentro c'erano altri italiani... tutti italiani, tutti senza macchina. C'era anche un tipo, da solo, seduto in condizioni comatose, probabilmente s'era fatto anche diversi clisteri al luppolo, e da come era vestito non poteva vivere più in giù del nord-tirol.
Dentro la stazione di polizia c'era un casino totale, fortunatamente i poliziotti tedeschi non potevano capire tutte le imprecazioni e anatemi lanciati nella loro direzione, anche se dal tono penso che lo immaginassero benissimo. Pare che prima del nostro arrivo un altro c'avesse anche rimediato alcune manganellate nel "priveé" dei poliziotti. Sbrigammo le pratiche con una avvenente poliziotta, meritatasi per l'occasione noti appellativi di disprezzo che vi lascio immaginare, per la quale non avevamo pensato a ritorsione più adatta che quella di colmare tutti i pertugi a sua disposizione. La questione si risolse con una multa di circa 450 marchi. Potemmo pagarla per poco, giusto perché non eravamo riusciti a spendere più di tanto all'Oktober Fest. Ci rimanevano in mano pochi marchi, anche quelli poi se ne andarano per pagare il taxi che avrebbe portato una persona per ogni gruppo al parco macchine.
Poiché aveva bevuto meno di tutti, scegliemmo Daniele per andare a recuperare il mezzo. Dovemmo aspettare fuori perché alla fine i poliziotti ci cacciarono minacciandoci con i manganelli. Il tempo passava e Daniele non tornava, nessuno tornava, e chissà quanto ci avrebbero messo per ritrovare la strada. Mentre il tempo passava si discuteva animatamente sul come e quanto fossero bastardi i poliziotti tedeschi, tutto il viale era pieno di macchine, ma gli stronzi si sono accaniti quasi esclusivamente sulle macchine italiane, e via a tirare fuori altri aneddoti: i tedeschi che arrivano in italia e sono sacri perché il turismo porta soldi, e quegli altri che già c'erano stati in Germania e gli era successa questa cosa....
Ad un certo punto lungo il viale, nell'oscurità degli alberi che costeggiavano la strada si intravedono due ragazzi con un'andatura a dir poco incerta: il primo era tutto piegato in avanti e procedeva a fatica, in una mano teneva uno dei famosi boccali da un litro miracolosamente sfuggito al controllo delle guardie. Anche il suo compagno, arretrato di parecchi metri, manteneva tenacemente il suo guadagnato boccale nel pugno, si muoveva più trasversalmente che longitudinalmente; era infatti comparso sul viale nel tentativo di non cadere, e sempre concentrato su questo intento, a volte spariva di nuovo tra gli alberi per poi tornare alla luce dei lampioni, come guidato dal peso del bicchiere. Dopo averli guardati per qualche secondo qualcuno cominciò con i primi commenti sarcastici all'insegna della loro nazionalità cui ne suguirono altri. Quando il primo dei due era ormai arrivato a qualche metro da noi qualcuno del nostro gruppo disse: "No un momento... questi non so' tedeschi.... questi so' italiani!","E mbeh!!!" rispose in segno di approvazione l'altro, sempre lottando per restare in piedi. Scoppiò una risata generale. I due non si fermarono né alzarono lo sguardo e tirarono dritto, cioé.... per quanto possibile, e lentamente si allontanarono verso.... chissà.... in particolare il ragazzo in seconda posizione credo non si sia neanche accorto della nostra presenza.
Erano forse quasi le tre di notte quando sentimmo arrivare le nostre macchine, ci salutammo velocemente ed ognuno riprese la propria strada. Daniele ci spiegò dopo che i poliziotti del parco macchine gli avevano fatto storie riguardo la restituzione dell'auto in quanto sul contratto era specificato il nome di Gianluca come responsabile ed il mio come seconda guida. Poi però, forse commossi dallo sguardo del cerbiatto indifeso, hanno fatto finta di nulla.

La seconda tappa era Amsterdam, data l'ora tarda fatta a Monaco, riuscimmo a percorere pochi chilometri di autostrada per poi collassare su una piazzola di sosta. Intanto aveva cominciato a piovere, parecchio. Non è stato possibile neanche aprire i finestrini, pena l'inondazione della Grostmobile©. L'aria all'interno si faceva pesante... i finestrini erano completamente appannati ed il caldo era asfissiante. Io ero sul sedile posteriore, tra Daniele e Gianluca, e vani si dimostrarono i tentativi di assumere una posizione rilassata. Riuscii a prendere sonno verso l'alba, con gli occhi pesanti e tutto sudato. Ricordo ben poco del viaggio verso nord, infatti dormii per la maggior parte del tragitto, sballottato dalle tolleranti autostrade tedesche. Tornai tra i vivi a qualche ora dal confine con l'Olanda, dove un' interruzione stradale ci costrinse a seguire il cartello "Aushfart" che ci aveva accompagnato per tutto il viaggio sul territorio tedesco (in quanto significa uscita). Eravamo praticamente al confine, bisognava solo viaggiare verso nord ed imboccare nuovamente l'autostrada appena possibile. Dopo esserci un po' persi tra le case di una delle ultime cittadine tedesche chiediamo faticosamente informazioni a dei tizi fermi lungo la strada e finalmente riusciamo a riprendere la giusta direzione.

Dopo una breve sosta ad un change per adattarci alla valuta locale raggiungiamo Amsterdam in pieno pomeriggio. Si cominciano a vedere già dalla periferia le case caratteristiche a tre piani, strette e con la facciata strapiombante. Raggiungiamo il centro della città e lasciamo la macchina in un garage, con tutti i bagagli. Giriamo per le vie della capitale olandese. Non ero mai stato così lontano da casa. Guardo le persone di ogni età affollare le piste ciclabili con delle vecchie biciclette rumorose; questa immagine insolita per le mie zone di montagna (sfido chiunque ad andare in giro per le vie di L'Aquila in bicicletta senza usare sostanze dopanti) mi fa sentire più straniero del normale; penso anche al fatto che sullo stradario si faceva notare che gli olandesi non utilizzano tendine dietro le finestre (anche se mi pare di averne viste parecchie... di tendine), penso anche al famoso quartiere a luci rosse e agli altrettanto famosi coffee-shop... comincio a vedere gli olandesi come una razza molto lontana, neanche stessi in giappone. Guidati da Giuseppe e Guglielmo, già stati ad Amsterdam in Aprile, chiediamo alloggio ad un gruppo di indiani che sembrava gestire buona parte del vicolo tra ristorante, lavanderia e non so cos'altro. Guglielmo si rivolge ad uno di loro in inglese dicendogli che si erano incontrati già qualche mese prima. Il volto del tizio era molto serio, prima di darci l'ok fece qualche cenno ad un altro che sostava in piedi davanti la porta del negozio dall'altra parte della strada. Subito dopo lo raggiunge, si scambiano qualche parola, torna da noi e ci invita a seguirlo dentro. Il modo di fare mi sembrava abbastanza strano, cominciai a pensare che la loro attività di affitta camere fosse illegale, o forse si trattava semplicemente del loro modo di fare. Entriamo nella lavanderia dove, tra l'afa e l'odore caratteristici di simili ambienti, ci sono degli uomini con il tradizionale turbante. Sulle pareti, fissate con del nastro adesivo, ci sono centinaia di banconote provenenti da tutto il mondo. Consegnamo i documenti al più anziano di loro... sembrava tutto in regola. Il prezzo è basso, ma le camere sono terrificanti: dopo aver salito con mani e piedi le ripide scale della fatiscente costruzione ci hanno mostrato le due ehm... stanze. Il solaio non è in piano e scricchiola al nostro passaggio, gli infissi ed il mobilio sono intaccati dal tempo e dall'umidità, i divani e le polverose poltrone presentavano delle inquietanti chiazze bianche. D'altra parte la lavanderia sottostante ci assicurò almeno lenzuola pulite per la notte, evitai quindi di ricorrere al sacco a pelo. Evidentemente non avevo recuperato granché di sonno dormendo in macchina perché mentre mi stendevo sul materasso fui sopraffatto da Morfeo con una randellata alla nuca.

Prima di uscire, a turno ci facemmo la doccia nell'unico, abominevole, bagno in comune con l'intera costruzione. A parte Giuseppe che si infilò per errore nella stanza di un altro cliente, tutti trovammo il vano doccia (al terzo piano), un antro scuro a causa delle piastrelle marroni che assorbivano buona parte della già fioca luce emessa da una pigra lampadina giallastra. Mentre mi insaponavo cercavo di toccare il meno possibile gli oggetti e le mura circostanti, sospettoso degli invisibili abitanti delle mattonelle marroni.
Uscimmo per fare spesa presso un alimentari e ne approfittammo per mangiare un hotdog su uno dei numerosi ponti della capitale olandese e per raggiungere la vicina Piazza Dam. Prima dell'imbrunire tornammo nel nostro alloggio per mangiare qualcosa, sempre con circospezione.

Non so esattamente a che ora uscimmo per il giro serale. Come noto, al calar della notte Amsterdam si trasforma, le luci mutano, gli odori cambiano, anche le facce che incontri sono o sembrano notevolmente diverse; come Superman entra in una cabina telefonica e si strappa la camicia di dosso, Amsterdam entra in un cesso e si tira giù le mutande!
La prima tappa è presso un coffee-shop. Mi guardo in giro incuriosito dai menù di "erbe aromatiche" completi di campioni in bustina. I tavoli sono in legno, massicci e segnati dalle sigarette spenteci sopra. C'è della musica, un televisore muto che si teneva compagnia da sé ed una nebbia che ondeggiava lentamente tra le volte. Avevo sete, risalii quei pochi gradini che ci separavano dal bancone in legno dietro il quale una sorridente ragazza cercava di decifrare il mio terribile inglese, volevo una birra ma pare che quel locale fosse specializzato in ben altro, mi indicò un locale della stessa catena ma ripiegai sulle abominevoli redbull. Gli altri fecero lo stesso.
Tralasciando i particolari del coffee-shop(¹), uscimmo all'aperto per poi visitare un altro dei tipici locali della città: il sexy-shop. L'entrata era stretta e ripida, come solito in questa città; all'interno c'era un tizio, il negoziante, visibilmente seccato dalla nostra invasione, probabilmente perchè intuiva che eravamo lì solo per curiosare. Anche in quell'esercizio c'erano dei televisori, non proprio muti, ma che proponevano dei "documentari" di dubbia moralità. L'articolo predominante era la videocassetta, divisa in settori, dal genere soft a all'hard, nelle sue classiche sfaccettature, fino agli estremismi della depravazione più recondita; tanto che alcune copertine erano inguardabili. C'erano poi articoli minori: essenze, stimolanti, cianfrusaglie varie e inquietanti falli in lattice.
Infine girammo in lungo ed in largo il prestigioso "quartiere a luci rosse". Inizialmente non riuscivo a guardare negli occhi le bellissime ragazze che invece ti cercavano e ti fissavano nell'intenzione di scatenare i tuoi desideri repressi, poi mi costrinsi a guardarle dritto negli occhi, rispettosamente. A seconda dei vicoli cambiava il genere e la qualità delle vetrine. Ad ogni angolo c'erano, nel momento di massimo affollamento, gruppi di persone in attesa che un loro amico meno inibito avesse terminato la propria sessione.
Una nota di biasimo per due ragazzine di ignota nazionalità che, soffermatesi a guardare la vetrina che esponeva una delle più belle ragazze del quartiere si scoreggiarono qualche meschinità nell'orecchio per poi allontanarsi, strette come due gemelle siamesi, starnazzando con fare teatrale. Una leggera pioggia cominciò a cadere sulle strade selciate e i vicoli andavano popolandosi di ceffi che ti proponevano ben altro che additivi per sigarette. Era il momento di rientrare.

"Good Moring!!! Goood Morning!!!" gridava uno degli indiani dopo aver bussato pesantemente alla porta; non so chi gli abbia aperto (forse il passe-partout), ricordo solo questo parlare ad alta voce che ci invitava gentilmente, a lasciare la stanza il prima possibile.
Passammo la mattinata a girare e vivere la Amsterdam diurna, con più calma rispetto al giorno precedente. Camminammo lungo i canali, da piazza in piazza, ammirando gli spettacolari palazzi della città. Tutto quel girare ci fece venire sete, finimmo in un pub, per una birra. C'erano due avvenenti cameriere in pantaloncini, T-shirt e cappellino, una bionda dall'aspetto tipicamente nordico ed una nera dall'aspetto tipicamente ehm... nero. Venne a prendere le ordinazioni la bionda. Mentre sorseggiavamo la birra e facevamo progetti per il pomeriggio, ad un tratto, il volume della musica si alzò improvisamente e la cameriera di colore balzò su di un tavolo... una specie di lap-dance non è quello che ti aspetteresti in un locale alle 11:30 di mattina, ma a Amsterdam succede anche questo.
Non ricordo dove e cosa abbiamo mangiato, ricordo però che, forse per via dello spettacolino, la miserabile birra ci costò 12 mila delle vecchie lire cadauna; decidemmo che il primo pomeriggio l'avremmo passato ad Utrecht... ah sì, adesso ricordo, abbiamo mangiato proprio ad Utrecht: i soliti panini all'olio con prosciutto cotto, in strada.

Utrecht sembra una città molto tranquilla, l'aspetto è simile ad Amsterdam ma le strade e le case sono più piccole, i canali molti meno... forse uno. Non ricordo di aver incontrato molti passanti. Dopo aver fatto qualche foto (di cui una imperdibile di fronte ad un locale di nome "Stairway to Heaven") ci siamo infilati in un coffee-shop. In vetrina c'erano dei terribili pupazzi di plastica alti un metro e mezzo rappresentanti indiani, cow-boys e simili. Fortunatamente si scendevano delle scale togliendo alla vista quegli orrori e si giungeva al piano inferiore dove c'erano massicci tavoli in legno, firmati dai vari visitatori nel corso degli anni. La prima impressione kitsch del locale mai mi avrebbe fatto pensare alla possibilità di ammirare un magnifico murales cyber-punk effettuato sulla superficie sconnessa di una parete di pietra. Dopo aver chiesto qualche permesso il murales ha subito l'immortalazione... se così si può dire per uno strato di vernice spray.
Approfittammo del momento di relax per scrivere qualche cartolina. La sosta ad Utrecht durò più del previsto, quando alle 19:00 uscimmo dal pub il sole andava tramontando...'cci sua... e dovevamo pensare a come arrivare in Inghilterra, e non è che fossimo proprio freschissimi.

Come stabilito durante il viaggio, la prossima tappa sarebbe stata Stonhenge, bisognava quindi imbarcarsi quanto prima per l'Inghilterra... un bel viaggio notturno sul traghetto sarebbe stato ottimo per riposare viaggiando, mal di mare a parte. Cercando di interpretare la cartina intanto uscimmo da Utrecht e decidemmo di andare verso Rotterdam, città dall'aspetto moderno (almeno la parte vista da noi). Ci infilammo nel nucleo industriale quando il sole da tempo era tramontato lasciando immaginare innumerevoli silos, tubi, ciminiere grazie alle infinite luci di ingombro disseminate ovunque e ai riflessi che queste provocavano sulle strutture metalliche. In particolare una ciminiera, che guardavo affascinato dal finestrino posteriore, spiccava tra l'intrico metallico perché la fiamma azzurra che ardeva sulla sua sommità la rendeva paragonabile ad un'enorme candela: una fiamma del tutto simile a quella del gas domestico, solo che probabilmente era grande come una atomobile o forse più. Sembrava di essere in un film di fantascienza tipo Blade Runner. Non so se scegliemmo un'uscita a caso tra le decine di moli possibili o confidammo in qualche particolare indicazione, comunque seguimmo una strada tortuosa che zigzagando tra gli impianti industriali ci portò ad un centinaio di metri dalla stazione di imbarco... ci separava solo una pista ciclabile... piuttosto che perderci di nuovo cercando il modo di arrivarci, prendemmo la pista ciclabile e, superato qualche muretto, andammo verso un uomo che stava raggiungendo la propria auto. Cercammo di spiegarci in inglese, così fece anche lui, poi però se ne lavò le mani indicandoci una donna che uscì un attimo dopo con una decisione tale da far intendere che la tizia doveva essere un'esperta in fatto di imbarchi. Nella conversazione la donna ripeteva spesso la parola ukfanolland (Hoek van Holland) che lì per lì scambiammo per una delle tante parole incomprese, alla fine ci chiese carta e penna.
Intanto il vento sferzava sul molo, un grosso traghetto ondeggiava tra le scure acque del mare notturno. La donna ci scrisse una dopo l'altra le cittadine che avremmo dovuto toccare e pure il suo numero di cellulare (gli olandesi sono tutti così disponibili o la signora era una pazza?), infine ci disse di seguirla. La tipa sfrecciava tra le strette stradine del nucleo industriale in stile gran premio dando risposta alla precedente domanda (era una pazza furiosa), lo stesso Giuseppe la seguiva a fatica, poi la signora superò un mezzo più lento, onde evitare di perderla Giuseppe superò a sua volta lungo una doppia curva, dopo qualche istante incrociammo un T.I.R. ... Guardai Giuseppe, era rimasto interdetto, poi disse: "credevo fosse senso unico", "anch'io!" lo appoggiai, comunque continuammo a tenere la destra.
Alla fine la signora si fermò ad un incrocio, addirittura oltre il dovuto, e ci disse di continuare verso ukfanolland! Ringraziammo, salutammo e via... sempre più difficile, la strada principale era interrotta. Sembrava una caccia al tesoro rally. Non ricordo bene come, di persone non se ne incontravano più da un pezzo. Fallì anche una signora alla fermata dell'autobus notturno, però alla fine giungemmo al miserabile porto di Harnick. Un tizio, ribattezzato da qualcuno Labrador, ci spiegò che il primo traghetto sarebbe partito alle 7:30 del mattino seguente... troppo tempo sprecato: decidemmo di prendere l'eurotunnel, a Calais. Giuseppe, immaginando il viaggio fino in Francia, decise di abbandonare la guida, aveva già dato abbastanza.
Non molto tempo dopo il mio passaggio al volante della Grostmobile© Giuseppe, Gianluca e Daniele si addormentarono. Guglielmo faceva da navigatore. Nel tentativo di accorciare, lasciammo l'autostrada per seguire la costa. A causa dei frequenti incroci a semaforo ci siamo più volte fermati, poi ci siamo infilati in un centro urbano di recente costruzione. Una volta ripresa l'autostrada anche Guglielmo si concede il riposo. Mi faceva compagnia la sola radio, non avevo sonno. Svegliai gli altri solo all'imbocco dell'eurotunnel: una serie interminabile di fari lungo i gard-rail e i raccordi stradali sospesi sull'acqua rendevano il tutto sci-fi... più o meno. Girammo un po' intorno all'autogrill prima di capire da dove si entrasse. Una volta sceso dalla macchina cominciai ad accusare il sonno. Comprammo i soliti panini e l'acqua. Pagammo con la valuta olandese.
Quattrocento mila delle vecchie fottute lire per attraversare la manica sotto l'acqua... facciamo retromarcia salutando la commessa e andiamo a cercare l'imbarco per scoprire che il prezzo è di poco inferiore, il trasporto più lento e la partenza molto più tarda. Torniamo all'Eurotunnel... c'erano due caselli aperti, per evitare di tornare come degli idioti dalla stessa cassiera, imbocchiamo l'ingresso adiacente. Stesse domande di prima: quanti siete? Quanto tempo restate? Andata e ritorno? Portate animali? La vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio? Stesse risposte, prezzo leggermente più alto.... Bah! Prendi anche questa e via... verso nuove disavventure.

Quarta tappa: Stonehenge, la mitologica costruzione preistorica di cui si sa ben poco. Ci si affida a leggende e superstizioni per formulare delle ipotesi... il mistero che avvolge questo mucchio di cantoni (forma dialettale per indicare sassi di proporzioni tali da non poter essere spostati con la sola forza delle braccia) dona al sito archeologico una luce diversa. Speriamo di non dover mai scoprire che in realtà Stonehenge era soltanto una preistorica zona pic-nic.

Il viaggio fino a Calais si era rimangiato tutto il benefico riposo della notte ad Amsterdam. Mi sarebbe piaciuto guidare anche in Inghilterra, a sinistra, ma se da un lato ero troppo stanco per continuare a guidare (quello sinistro appunto...) dall'altro era stato già deciso che sull'isola avrebbe guidato Gianluca.
La procedura da seguire per imbarcarsi (o intrenarsi?) per l'eurotunnel è un po' macchinosa: ogni tanto trovi uno che ti indirizza verso una nuova canalizzazione. Dopo aver girato qua e là e aver atteso qualche semaforo, alla fine arriviamo alla dogana...
  - Hello, your papers please! -, fa uno dei tre uomini in divisa, mentre un altro sbircia nella macchina con una torcia elettrica,
  - Italians... -, continua rivolto al terzo, il quale gli risponde in francese.
  - Open! Open! -, grida da dietro quello con la torcia indicando il portello posteriore.
  - Why are you going to England? - ci chiede il tipo dei documenti mentre l'altro sposta e tasta le borse, forse anche annusando, visto che il cane non l'avevano.
  - ...ui go tu stoneing! -
  - ... why Stonehenge? -, chiede il tipo dopo un attimo di esitazione.
  - ...ehm...?!...turism! -, rispondiamo un po' confusi... ci sembrava scontato, e forse lo era.
Il tipo si ritira dal finestrino poco soddisfatto mentre l'altro richiude il portabagagli. I tizi si parlano un po' in inglese, un po' in francese. Uno si chiede dove stessimo andando...
  - Bah... -, comincia quello che ci aveva controllato i documenti, - to Stonehenge but... I don't know why.... -
Finalmente ci lasciano andare... un po' più avanti ci fanno salire dentro un enorme vagone, uno dei tanti, dove entrano anche T.I.R.
All'interno la macchina viene bloccata con delle ganasce, un messaggio registrato recita in varie lingue, tra cui non l'italiano, le istruzioni da seguire durante il tragitto, tra le quali quella di restare in auto e di non chiudere completamente i finestrini... roba di pressione? Tento e riesco a prendere sonno.

La mia razione di sonno non durò più di mezz'ora... la Manica non è molto grande. Dall'altra parte però, il tempo era ben diverso: la pioggia cadeva abbondante, un ottimo inizio. Seguiamo la corsia indicataci dell'ennesimo operatore, per ora è a senso unico... semplice. Dopo pochi metri però sull'asfalto compare la scritta Keep the left. Anche ora è facile, ci stiamo immettendo in autostrada, basta mantenere la corsia sinistra. Le condizioni del tempo però erano davvero pessime, inoltre i T.I.R. (o come li chiamava Gianluca, i tirroristi) ci superavano a destra, e non era una sensazione piacevole. Sul sedile posteriore gli altri avevano subito ripreso a dormire, a me il sonno era passato, ero teso, e poi non potevo lasciare Gianluca da solo alla guida, anche perché... dove cazzo stavamo andando? A Calais fui distolto dal comprare una cartina, e adesso mi ritrovavo a consultare disperatamente l'angolo superiore sinistro dell'atlante autostradale dell'Europa centrale. Non era sufficientemente dettagliato.
Dopo i primi cartelli, che indicavano Londra sempre dritto, cominciarono a susseguirsi nomi di località sconosciute. Nel dubbio, continuammo ad andare dritto. Alla fine l'autostrada cominciò a picchiare verso delle luci lontane. Ci trovavamo a Greenwich, ma non lo sapevamo. Passammo la notte nel parcheggio di una stazione di servizio, la prima incontrata.

Ci svegliammo con i vetri della Grostmobile© completamente appannati e gocciolanti. La strada che avevamo percorso in solitaria solo poche ore prima adesso si mostrava intasata a tal punto che le automobili sembravano avanzare spingendosi l'una l'altra. Il commesso era cambiato, ma anche questo era mediorientale... gestione familiare? Comprammo lo stradario con la carta di credito.
Adesso veniva il difficile: immissione in strada con guida a sinistra, incroci, semafori e un traffico di merda. Andò meglio del previsto, ci scappò fuori anche una inversione. Il peggio arrivò in autostrada: ci immettemmo praticamente a casaccio e prima di riuscire a comprendere come funzionasse il tutto, finimmo per uscire a nord di Londra. Al casello chiedemmo alla casellante se andavamo bene per Stonhenge... buaahhahhahaa!!! La sorridente signorina ci fece notare, aiutandosi con una bozza del circuito autostradale che aveva con sè, che avremmo dovuto prendere un'altra uscita... dalla parte opposta della città!! Poi avvenne una cosa cui non avremmo mai sperato: la signorina chiamò un addetto che, bloccando buona parte dei caselli, ci guidò fino a bordo strada e ci fece reincanalare nella direzione giusta... praticamente non siamo mai usciti dall'autostrada. La seconda volta non sbagliammo.
Stavamo lasciando l'autostrada... cosa ci riservavano le strade secondarie? Ci dirigemmo verso Salisbury, la città più vicina a Stonehenge, ma di cartelli informativi non se ne vedeva neanche l'ombra. Alla fine fummo costretti a chiedere informazioni ad un signore. Invertimmo il senso di marcia per cercare la località Exeter. Fortunatamente le strade extraurbane inglesi sono costellate di rotatorie che hanno reso tutto molto più semplice, a parte un momento di panico quando non stavamo dando la precedenza ad una macchina proveniente da destra.

Pensavamo fosse un monumento famoso quasi come il Colosseo, ma il primo cartello che indicasse il Cromlech lo incontrammo a pochi km dallo stesso, alle ore italiane 14:37. Dopo aver svalicato una delle tante colline inglesi ecco finalmente, all'orizzonte, sulla sommità di un'altra collina, le sagome degli antichi monoliti... ed il primo vero incrocio (di cui abbiamo la diapositiva)!!! Devo essere sincero... l'avrei preso contromano, ma Gianluca ormai guidava in inglese.
Solo una miserabile rete metallica separa il sito archeologico dalla strada mancina e in salita. Scoprimmo con dispiacere che all'ingresso non accettano carte di credito e noi avevamo ancora i fiorini, l'idea di aver dirottato verso l'Inghilterra per vedere Stonehenge e poi non poterlo fare era frustrante. Dopo una pietosa e umiliante implorazione la signora della biglietteria ci indicò divertita il change più vicino. Fu così che avemmo l'occasione di visitare anche una piccola cittadina inglese: la strada fino alla banca fu sufficiente ad esplorarla.
Finalmente ero davanti a quelle stramaledette pietre che da bambino mi avevano fatto pensare a mille storie assurde... ma mai così assurde come quelle che sentii dalla guida elettronica che viene distribuita all'ingresso: una specie di telefono da intrattenimento, come il famigerato 144, solo che invece di sentire porcate senti vaccate. Speravo di poter toccare i monoliti, la mia perversione mi avrebbe forse spinto anche a tentare di arrampicarmici sopra, ma una corda perimetrale segnava un limite invalicabile, forse un po' troppo distante dal cromlech, ma comprensibile.
Alle 17:20, dopo un terribile caffé inglese (ha la consistenza e le dimensioni di una coca-cola presa al McDonald) e una sosta ai bagni pubblici del sito archeologico di cui, purtroppo, abbiamo una diapositiva, ripartimmo per Londra. Incrociare un furgone che saliva sulla collina di Stonehenge fece a tutti un brutto effetto: sembrava venirci addosso.

Era ancora giorno quando passammo in autostrada su londra, stavamo piombando direttamente nel cuore della città, una città caotica come Roma ma con la guida a sinistra.... terribile, ma doveroso. Appena lasciata la sopraelevata potemmo ammirare le piccole casine stile inglese, in mattoncini marroni, i taxi e le cabine telefoniche caratteristiche. Poi cominciarono i palazzi, gli occupanti delle macchine che ci affiancavano nella fila ci guardavano incuriositi, il volante a sinistra era motivo di sorpresa... strano, credevo che sapessero che il resto del mondo ha la guida a sinistra e tiene la destra, oppure era Gianluca ad attirare l'attenzione con i suoi capelli dritti e la barba tenuta obbligatoriamente incolta? A Londra? Naaaa....
Non ho idea di quanti italiani vivano nella capitale inglese, comunque, quando Gianluca chiese informazioni ad un tassista per raggiungere Piccadilli Circus, quello ci rispose in italiano.
Stava facendo buio. Lasciammo la macchina in un garage custodito ad un centinaio di metri da Piccadilli Circus che raggiungemmo a piedi. Io e Gianluca tentammo di comprare una phone card, ma il ragazzo (mediorientale pure questo, così come i commessi del parcheggio custodito) era convinto che volessimo acquistare una scheda per il telefonino, dispositivo di cui tutt'ora (2/01/2003) non ne faccio uso. Dopo qualche inutile tentativo ci venne in aiuto il suo compare o chiunque fosse, che masticava l'italiano, lui capì subito. Una volta ottenuta la scheda telefonica, tenendola ad altezza viso, chiesi al ragazzo come si chiamasse l'articolo... la risposta fu, con evidente imbarazzo,"phone card".
Bisognava mangiare. Tanto per cambiare ci infilammo in un Burger King, non per affezione ma per andare sul sicuro: prezzo modico, contaminazione alimentare apparentemente modica. Il locale era di due piani (almeno fino ad un anno fa) e dava su Piccadilli Circus. Ci sedemmo vicino alla vetrata e ci godemmo lo spettacolo del traffico urbano londinese, con i suoi autobus a due piani e persone di tutte le razze che attraversano la strada. Fu il momento in cui mi sentii più stanco in assoluto, facevo fatica anche a mangiare, sentivo i battiti cardiaci nella testa, da quante ore non riposavo decentemente? Non mi ero mai ridotto così e per un po' pensai che forse avrei collassato sul tavolo del fast-food... Muore turista italiano sudicio e maleodorante nel cuore di Londra, stremato dalla lontananza della cucina di mammà, si spegne masticando un hamburger di ricetta oltreoceanica e riceve denuncia postuma da parte del fast-food per averne danneggiato l'immagine. Fortunatamente quella sensazione passò presto. Quando tornammo in strada ormai era notte. Girammo un po' nelle vicinanze, poi ci infilammo in un pub londinese dove facevano musica dal vivo. Ordinammo, facendo orgasmare il barista, un misto di birre, le più caratteristiche. Assaggiammo anche una birra mista a sidro, molto particolare. La serata passò piuttosto in fretta. Suonò la campana e, come usanza, non sarebbero state servite altre birre. I musicisti avevano finito... era tempo di ripartire.
Sfruttando la memoria di Guglielmo girammo in auto tra le piazze di Londra passando dinanzi ai principali monumenti, compresi il Big Ben ed il palazzo reale... mancava il Tower Bridge, ma non era alla portata di Guglielmo, tentammo quindi di andare verso il fiume, cercando di costeggiarlo ma finimmo con il perderci. Chiedemmo informazioni ad un tipo con il furgone. Il tizio, indicato poi con l'appellativo Kazako, parlava velocemente e quasi abbaiando, non so se si trattasse del famoso slang oppure il Kazako era davvero originario del Kazakistan, comunque l'unica cosa che capimmo fu "Follow me!" e lo seguimmo. Dopo un paio di curve al limite della fisica il tipo si fermò di nuovo tentando di darci nuove e più semplici spiegazioni, ma il ripetersi del nostro silenzio e degli sguardi attoniti gli tirarono fuori di bocca un nuovo, compassionevole "Follow me!". La scena si ripetè un'ulteriore volta, finché non vedemmo il Tamigi e, in lontananza, il Tower Bridge. Il Kazako, lanciato in una folle corsa verso il Tamigi, ci lasciò leggermente indietro, tanto che lo abbandonammo alla sua inerzia rinunciando a seguirlo. Ci fermammo, ritrovammo la nostra posizione sulla cartina e, con cautela di non perdere di nuovo i punti di riferimento, riuscimmo a raggiungere ed attraversare il fiume, ovviamente facendo uso del famoso ponte. Uno spettacolo come pochi, almeno di notte: il ponte è pieno di luci bianche, gialle e azzurre e quando lo attraversi sembra di entrare in un lunapark. Compiango quei londinesi che, passandoci forse almeno una volta la settimana, si saranno ormai assuefatti allo spettacolo.

Ci infilammo nei vicoli della periferia londinese, tra le case in mattoncini marroni, per raggiungere la sponda del fiume. In quei vicoli bui tutto è più triste. Lasciammo la macchina a cavallo tra la stretta strada ed il marciapiede e ci infilammo nell'ultimo vicolo che ci separava dal Tamigi. Sembrava di essere su un bel vedere, il fiume è costeggiato da un lungo e largo passeggio lastricato di mattonelle bianche.
Tornando alla grostmobile© incrociamo una pattuglia in ricognizione, pensavo ci chiedessero cosa facessimo a quell'ora in quell'angolo di città e perché mai avessimo parcheggiato sul marciapiede, invece non badarono a noi. Ripartimmo quindi in cerca della A20, che ci avrebbe reindirizzato verso Folkestone e l'Eurotunnel. La trovammo subito. Una breve sosta per imbucare qualche cartolina e poi via...follow me!!

Il ritorno a casa seguì una via molto diversa. Una fuga veloce tra le vie di Parigi e poi verso Sud

Non abbiamo annotato a che ora siamo tornati a Calais. Eravamo tutti esausti e dormimmo nell' auto dinanzi alla stazione di servizio dove avevamo precedentemente comprato da mangiare. Non ricordo nulla della partenza da Calais, probabilmente abbiamo fatto colazione lì, riacquistato i soliti obiqui panini preconfezionati e, sicuramente, fatto scorta di acqua liscia.

Dormii per tutto il viaggio fino alla capitale francese. Mi svegliarono solo nei pressi della città. Alla guida c'era Guglielmo. Come al solito entrammo nella città a casaccio. Fortunatamente avevo la possibilità di consultare lo stradario. All'inizio comunque è sempre tutto abbastanza drammatico: si comincia con una ricerca disperata di punti di riferimento che, in periferia, sono solitamente inesistenti, poi mentre uno legge tutti i nomi delle strade che incontra, quelli che hanno sotto gli occhi la cartina stradale balzano qua e là con la vista nella speranza di leggere un nome familiare.
Prendemmo consapevolezza della nostra posizione solo mentre attraversavamo un mercato nei pressi di Mont-Martre, da lì in poi fu tutto molto facile: una volta reimmessi in una via di scorrimento raggiungemmo, in ordine rigorosamente sparso: l'Obelisque, il Louvre (dove però non c'era tempo per entrare), Place de la concorde, Notre Dame, ed infine il Tocadero dove abbiamo fatto una sosta un po' più lunga del solito per andare ad ammirare la Tour Eiffel dal belvedere.
A Parigi c'ero già stato in gita al quinto superiore ma quando si va in gita con i compagni di classe non ha tanto importanza dove si va, l'importante è andare da qualche parte. Girando per Parigi per poco più di tre ore è stato come un riassunto, un flash back che mi ha riportato indietro nel tempo in quei luoghi e per me è come se li avessi rivisti di nuovo per una intera settimana, ma con occhi diversi.

Lasciata la capitale ci fermiamo in un autogrill fornito di docce. Cogliamo l'occasione per darci una rinfrescata e per fare uno spuntino (di cui abbiamo una diapositiva).
Si parlava ormai di rientro. L'ipotesi Barcellona era piuttosto in forse: avrebbe allungato di molto il viaggio e reso difficile la restituzione del mezzo nei tempi previsti. Ne nacque una breve discussione con Guglielmo che sembrava fortemente intenzionato a raggiungere la Spagna. Dal titolo del paragrafo si evince che alla fine la spuntò Guglielmo: sfrecciammo a Sud, verso la costa. Il territorio pianeggiante man mano lasciò posto a colline e vigneti. Purtroppo lasciammo alle nostre spalle anche il bel tempo. Attraversammo l'Auvergne durante una pioggia torrenziale. Il sole era già calato da tempo ed i tergicristalli faticavano a togliere l'acqua dal parabrezza. Nonostante le condizioni stradali non ottimali, per voler usare un eufemismo, mantenemmo una media oraria piuttosto alta. Guglielmo, che aveva spinto per raggiungere Barcellona, cercava di riguadagnare tempo spingendo forse un po' troppo sull'acceleratore, noialtri cercavamo di farlo rallentare a scopo terapeutico-preventivo. Cominciò così un'interminabile serie di accelerazioni e decelerazioni che sembravano non raggiungere un equilibrio. Mi tranquillizzai quando uscimmo dalla perturbazione. Durò poco, la vicinanza dei Pirenei cominciò a farsi sentire e l'autostrada si ridusse ad una miserabile strada di montagna con curve da 60 Km/h. Cominciammo a salire. Dopo aver sfiorato un T.I.R. durante uno degli interminabili tornanti incontriamo un cartello molto confortante del tipo: "l'anno scorso su queste strade ci sono stati 500 incidenti mortali"... non ci credevo... non avevo mai visto un cartello simile, e in quale momento lo vado a vedere? Se ci fosse stato il mio amico Cesare sicuramente avrebbe affermato che quel cartello non era altro che il risultato della mia spiccata capacità di somatizzazione.
Raggiungemmo un altopiano, poi ricominciammo a scendere. Bisognava cominciare a pensare dove passare. Io proponevo sempre strade più lunghe ma di maggiore viabilità, ed ovviamente le mie proposte venivano bocciate in favore di strade secondarie più corte. Fortunatamente la discesa non era ripida come lo era stata la salita e la strada era decente.
Lungo la costa cominciammo a incontrare di nuovo gli autogrill, ci fermammo presso uno degli ultimi di quelli francesi e cenammo in una sala ristorante self-service. Più in là facemmo un'ulteriore sosta in territorio spagnolo potendo finalmente assaggiare un caffè decente.
Sarebbe stato il caso di dormire, visto che non guidavo, ma il sonno ormai l'avevo perso. In seguito crollai, mi svegliai solo per un attimo quando Guglielmo, esausto, cedette la guida a Gianluca, quindi ripiombai nel sonno.

Non so perché ma mi svegliai di nuovo quando raggiungemmo la periferia di Barcellona, Gianluca uscì dall'autostrada e cominciò a girovagare per la periferia, alla fine convenimmo che la soluzione migliore era tornare sull'autostrada e fermarsi al primo autogrill per dormire nel parcheggio.
Ero tornato sul sedile posteriore dove pare riuscissi a dormire solo in viaggio. Infatti ricominciai a sentire caldo, formicolii nelle scarpe e senso di asfissia generale. Non stavo al centro come in Germania, però mi facevano compagnia Daniele e Giuseppe, tutti e due alti un metro e novanta,e non certo allampanati. Alla fine mi decisi ad uscire dall'auto e dare un senso al sacco a pelo che mi ero portato dietro: mi tolsi di dosso i documenti, il portafoglio e l'orologio e quindi mi stesi sul marciapiede davanti alla Grostmobile©. Tempo cinque minuti e cominciò a piovere... procedura inversa.

Il cielo grigio nordico era stato congedato, un magnifico cielo azzurro lo aveva sostituito. Lasciammo la macchina in un parcheggio custodito vicino la Cattedrale, davanti la quale passammo buona parte della mattinata e cogliemmo l'occasione per dare notizia alle famiglie riguardo le nostre nuove coordinate.
Seguì una visita tra i vicoli del Barrio gotico.
A pranzo, questa volta, decidemmo di entrare in un ristorante per assaggiare i piatti tipici del paese, in particolare sangria e paeja. Solo dopo capimmo, vedendo un adesivo sulla porta di ingresso, che la paeja che avevamo mangiato era un piatto preconfezionato distribuito in tutta la Spagna (e forse oltre)... bah, poco male, almeno ci eravamo fatti un'idea.
Nel pomeriggio ci infilammo nelle strade secondarie a bere birra e comprare gingilli inutili, tra cui segnalo, con nota di demerito, un ignobile cappello che Giuseppe si è portato dietro fino alle Ramblas, viale pieno di artisti e mendicanti.
Ad un certo momento Daniele comincia ad avvertire un dolore alla gamba a lui già noto che lo induce ben presto a zoppicare, siamo quindi costretti a riprendere l'auto. Sempre in auto raggiungiamo la Sagrada familia, monumento imperdibile, e poi la Fontana Magica, dove sostiamo fino all'imbrunire nella vana speranza che venga attivata.

Finalmente si torna a casa, il viaggio è lungo, e comincia male: dopo una interminabile fila per imboccare l'autostrada, veniamo fermati dalla polizia a causa di una guida non troppo prudente. I poliziotti fanno fare anche la prova del palloncino a Guglielmo e gli notificano la presenza della birra che avevamo degustato nel pomeriggio... 'sti palloncini so' micidiali. Comunque il tutto si risolve con una ramanzina. Non abbiamo capito bene per quale motivo ma la guida di Guglielmo, almeno fino ai confini con la Francia, fu nei limiti consentiti dalla legge spagnola, poi, purtroppo, il tachimetro cominciò a risalire verso le medie usuali.

Come già era successo all'andata (per Barcellona), nei pressi di Montpellier l'autostrada non segue la costa, la soluzione più logica sarebbe quella di tagliare per le vie provinciali costiere, ma io sull'autostrada mi sentivo più sicuro, quindi ci riprovo ma la mia proposta viene di nuovo bocciata.
Appena usciti dall'autostrada percorriamo una specie di superstrada a quattro corsie, dritta, ma le condizioni dell'asfalto degradano man mano: aumentano dossi e crepe, finché non giungiamo ad un tratto privo di segnaletica. Sul sedile di dietro eravamo svegli solo io e Giuseppe. A dire il vero io ero molto stanco, ma ero troppo teso per dormire. Guardo un segnale che segna il limite massimo a 60 Km/h, guardo poi il tachimetro e verifico una velocità esattamente doppia... non faccio a tempo ad avvertire Guglielmo che dalla totale oscurità ci appare una curva a destra molto stretta. Grazie all'ABS riusciamo a rallentare e ad imboccare la curva ma la velocità è comunque troppo elevata: la Grostmobile© scarta di lato e usciamo fuori strada. Durante la frenata Daniele balza in avanti nel sonno svegliandosi bruscamente ma non riesce a reagire e resta a bocca aperta ciondolando trattenuto dalle cinture mentre Gianluca si attacca al braccio di Giuseppe senza aprire gli occhi e ripetendo fra sé "Oh Dio! Dio! È finita!! È finita!!". Giuseppe invece, che stava al centro del sedile posteriore e senza cinture, cerca di aggrapparsi ai sedili mentre veniamo sballottati a destra e sinistra. In quanto a me, ero più incazzato che impaurito, vedevo attraverso il parabrezza ora la terra ora il cielo nero e mentre imprecavo non vedevo l'ora che finisse tutto. Fortunatamente finì e anche bene, ben oltre le aspettative: a causa dei lavori in corso, la zona dove siamo usciti era di terra battuta e senza grossi ostacoli, tranne qualche mucchio di terra ed uno scavo profondo che però non era lungo la nostra traettoria. Scesi dall'auto abbiamo controllato che non si fosse staccato o danneggiato qualche cosa... sembrava tutto a posto... solo un bello spavento.

L'autostrada, fino ad allora gratuita, finì dentro il nucleo industriale di Marsiglia: tubi, curve secche, tunnel, sopraelevate, un labirinto di tubazioni e strade. Da quel momento in poi si susseguirono numerosissimi pedaggi lungo la costa azzurra, il primo dei quali interno a Marsiglia e che ci procurò qualche problema: avevamo attraversato tutta la Francia senza un miserabile franco... avevamo ancora le pesetas! Guglielmo infilò la sua American Express nel casello automatico... il trabiccolo gliela sputò quasi in faccia. Stessa sorte per la Maestro di Giuseppe... questione di nazionalismo spinto? Suonammo ad una specie di citofono. Rispose una voce femminile modello "ti penetro le meningi con i miei ultrasuoni". Cercammo di spiegare in franglese il problema e la risposta fu
-Carte bleu!!-
-No! Ma che carte bleu? De credit card ne va pa' !!-
-Carte bleu, c'est tout!!-, click...
Aveva chiuso la comunicazione. Cominciammo una lenta retromarcia borbottando sul da farsi e guardando in giro per cercare di capire da dove provenisse la voce di quella <epiteti non trascrivibili>. Quando fummo sufficientemente distanti dal casello notammo una corsia parallela a destra di una costruzione dalla forma di un casello tradizionale ma di dimensioni nettamente maggiori e al di sopra del quale c'era un cartello blu.... forse era quella la carte bleu?. Ci appropinquammo... si intravedeva una leggera luminescenza ai bordi della tenda che copriva tutta la vetrata del casello. Bussammo. Una signorina scostò le tende ed aprì uno sportelletto. Ci sentimmo decisamente sollevati, soprattutto quando ci disse che accettava anche le lire. Fu così che ci procurammo alcuni cents di resto.
In realtà avevamo anche tentato di fermarci ad un autogrill interno al nucleo industriale per espletare le solite funzioni ma la porta sembrava chiusa. Spingemmo un po', nulla. All'interno c'era un ragazzo di colore che passava lo straccio. Gli facemmo cenno di aprire... nulla. Restammo un momento all'aria aperta, poi tuonò una voce dall'alto: "L'exercice c'est fermé!". Dopo un attimo di smarrimento (Guglielmo credette che Dio gli avesse parlato) ci rendemmo conto che il ragazzo dell'autogrill ci aveva confermato la chiusura dell'autogrill tramite gli altoparlanti. Mai vista una cosa del genere, sapevo che a Marsiglia la criminalità è molto alta ma a quanto pare la situazione è drammatica. Ripensando alla casellante nascosta dietro le tende direi che le dimensioni del casello siano dovute probabilmente alla necessità di renderlo antinucleare!!

Ricordo del viaggio fino a Tolosa, dove sostammo in un autogrill, poi, finalmente, guadagnai il sonno. Mi svegliai verso le 8:00 del mattino, sballottato dalle curve della costa azzurra, alla guida c'era Gianluca. Cercavo di guardare il mare tra una galleria e l'altra, ma gli occhi erano davvero pesanti, credo che mi riaddormentai... la via per Tolmezzo era ancora lunga, senza contare che poi avremmo dovuto affrontare anche altri 700Km per tornare a L'Aquila.
 
È passato più di un anno, fortunatamente ho potuto ricordare alcune vicende e dare un ordine cronologico ai vari episodi, a volte molto preciso, grazie al diario di bordo. Data la mole di parole contenute in questa pagina dubito che un web-nauta imbattutovisi possa essere giunto a queste ultime righe, in caso contrario vorrebbe dire che sono riuscito a rendere il racconto piacevole, o più realisticamente che mi dovete dei soldi e pensate che entusiasmandovi per il mio sito io possa abbonarvi il debito. Con buona probabilità invece questa storia è la vostra storia, oppure siete degli amici dei miei compagni di viaggio (cui dedico queste pagine) e siete giunti fin qui perché Gianluca, Giuseppe, Daniele o Guglielmo vi hanno tartassato con questo link e vi siete tolti il pensiero.

Alessio lì 19.02.2003