Viaggio in Irlanda
L' Irlanda è sempre stata una delle mie mete preferite. Mi è capitata l'occasione e non me la sono lasciata sfuggire. In un certo senso questa vacanza si è riproposta come una riedizione limitata di Europa Express, sia per quanto riguarda la distanza percorsa (solo circa 1000 miglia) sia perché eravamo solo in tre.
Io e Stefano abbiamo appuntamento con Massimiliano, che arriverà in
autobus, davanti l'ingresso dell'aereoporto. Quando raggiungiamo il check-in
troviamo due interminabili file che sembrano mettere in dubbio la disponibilità di
posti sull'aereo. Tra i soliti illuminati che trovano il modo di passare dalla
coda alla testa della fila ed il bradipo addetto al check-in del nostro sportello
alla fine siamo tra gli ultimi dieci a ricevere la carta di imbarco. Non sembra una cosa
grave. almeno per ora. Prendiamo velocemente qualcosa al bar e poi ci rechiamo al gate. Nonostante manchino
ancora cinque
minuti i poliziotti hanno già chiuso il nastro: "Ma voi arrivate
tardi... 'nnate va'!!" ci dicono dopo una veloce consultazione. Mentre
arrostiamo sull'autobus navetta deserto arrivano altri passeggeri, non siamo
così in ritardo come volevano farci credere.
Non vedo l'ora di partire... cosa ci faccio fermo a metà scaletta
dell'aereo da circa due minuti? "Permesso, permesso!!", una del personale
a terra si fa spazio scendendo la scaletta e lanciando invettive verso il pilota
che, pare, non voglia imbarcare altri passeggeri. Per un attimo pensiamo di essere stati
vittima di una maldestra tattica di overbooking, la realtà è decisamente
più inquietante. Alla fine ci fanno salire ma nulla si muove... discussioni. Dalla
cabina esce sospettosamente sorridente il capitano. Dopo qualche rapido
e mieloso saluto fa un patetico invito (verso dodici volontari) a scendere
dall'aereo per trascorrere un'altra giornata nella splendida città di
Roma.... Roma? Ad Agosto? "Fai scende le hostess che so' pure brutte!!".
Non ricevendo nessuna risposta il capitano si ritira nelle "sue stanze" e
la tipa del personale a terra minaccia di fare un elenco di vittime sacrificali:
le ultime dodici ad aver effettuato il check-in (ci siamo anche noi, che importa
che abbiamo prenotato il volo a maggio?). Il motivo di tanta agitazione sembra
essere dovuto al fatto che l'aereo è troppo pesante... come può succedere
questo? Una remota possibilità potrebbe essere che sia equipaggio che passeggeri
siano dei maxiobesi con bagaglio al limite, ma non è questo il caso: di obesi
non me ne ricordo affatto, la realtà è che la EasyJet non ho posto limite al peso
del bagaglio.
Gli irlandesi non protestavano e sembravano pronti anche a scendere, probabilmente
per loro non era un'ipotesi così terrificante restare un giorno in più in Italia.
Il discorso cambia per gli italiani che devono cominciare la loro vacanza e
magari hanno già pianificato il viaggio (come noi): ritardare un giorno significherebbe
compromettere tutta la vacanza o quasi. E fu così che si aprì una crisi: a
parte qualche isolata scena di isterismo lo spirito della sommossa contagiò
presto tutti costringendo il capitano a scendere a compromessi.
- Io è dalle nove che sono qui!- gridò ad un certo punto l'assistente
di volo, neanche fosse lì dalle 6,
- Io è un anno che aspetto le vacanze!- disse Stefano.
Ci fu una prima ipotesi di imbarcare meno carburante e fare scalo a Londra per il rifornimento,
non mi dispiaceva. Purtroppo invece si giunse alla soluzione di imbarcare meno
bagagli, il che non risolveva il problema per i turisti itineranti.Ci assicurarono
che i bagagli sarebbero arrivati con il volo successivo ma si sa, già è tanto
se arrivano! Comunque alle 12:15 circa l'aereo comincia a rollare per raggiungere
la pista. Sarà pure che portavamo un ritardo mostruoso ma il capitano
diede motore ancora prima di allinearsi, fu forse uno dei rari casi in cui
si può dire di aver fatto una curva in Jet!! Quando però il muso del fichissimo
aereo arancione si impennò ben oltre gli usuali 12 gradi cominciai a
pensare che il capitano fosse una specie di stuntman dell'aria o più semplicemente
un pazzo furioso.
Quando arrivammo nel circuito di attesa su Belfast non c'erano nubi, un po' inaspettato
per un paese come l'Irlanda, ma questo ci consentì di ammirare in
tutto il suo splendore quei prati di un verde mai
visto nelle brulle terre dell'appennino. Ma considerando anche il fuso orario
era un po' che stavamo lì in aereoporto ad attendere inutilmente i bagagli
(ovviamente i nostri non erano stati imbarcati). Questo si portò dietro
diversi problemi, quello più immediato era: "Dove cazzo avevamo
prenotato il Bed&Breakfast?".
La risposta era chiusa nella valigia di Massimiliano che, fiducioso nel prossimo,
non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi a Belfast con solo il marsupio. Dopo
un pranzo al Burger King ed un meraviglioso Muffin ai frutti di bosco ci piantammo
di fronte ad un Internet Point dell'aereoporto affamato di gettoni ma piuttosto
parsimonioso in quanto a traffico dati. L'intenzione era quella di ripetere
la ricerca fatta in Italia nella speranza di riconoscere il B&B e recuperare
quindi l'indirizzo.Non ne potevamo più di stare in aereoporto, nè di
dare soldi a quel pigro sgabbiozzo senza fondo. Decidemmo di andare via in
macchina e tornare in aereoporto quando fossero arrivati i bagagli.
Il fatto che in Irlanda si guidi a sinistra e che il volante stia sul lato destro
non è un dettaglio. Fu Stefano a prendersi la responsabilità di
portarci via dall'aereoporto (oppure io e Max facemmo codardamente un passo indietro),
dopo qualche grattatina (per via del cambio a sinistra, a cosa stavate pensando?),
dopo qualche dubbio sulle precedenze e qualche rotatoria ci ritrovammo al punto
di partenza. Ok, riproviamo, andrà meglio.
Più tardi eravamo a Belfast, finalmente. Gironzolammo a
caso per la città semideserta: era Domenica ed i negozi erano chiusi.
Alla fine riuscimmo a trovare una avveniristica cabina telefonica dotata di Internet
Point. Tra i molti nomi di B&B alla fine uno suonò familiare...
Raggiungemmo il posto con un po' di fatica, girando tra le piccole case in mattoni
che esponevano in maniera apparentemente casuale bandiere del Regno Unito o dell'Irlanda.Il
gestore del B&B ci accolse senza neanche chiederci i nomi, non essendo matematicamente
sicuri di essere all'indirizzo giusto avevamo costantemente il dubbio di aver
preso il posto di qualcun altro. Potevamo scegliere tra una colazione all'irlandese
o una "continentale". La mia filosofia durante i viaggi è
quella di adattarsi, entro certi limiti, alle abitudini alimentari locali, a
parte per l'esperienza in sè, soprattutto perché gli autoctoni
sicuramente se la cavano meglio con i loro piatti tradizionali che nell'imitare
la cucina estera (vedi italian coffee....maddeche ?), i miei compagni di viaggio erano daccordo
con me.
- Ho proprio voglia di assaggiare questa colazione all'inglese! - dissi a Stefano
e Massimiliano.
- Irish! - mi corresse allontanandosi il gestore senza voltarsi. Sulla facciata della casa non c'era nessuna bandiera ma era evidente di quale colore sarebbe stata.
La sera ebbi anche io il battesimo della guida speculare. Raggiungemmo
il centro della città alla ricerca di qualche locale caratteristico. La Domenica
sera forse non è proprio il giorno indicato per fare un giro a Belfast:
quello che trovammo fu una città fredda, deserta, con telecamere corazzate
ad ogni angolo e strani mezzi blindati che ronzano per le strade.
Trovammo aperto soltanto un McDonald's e, fortunatamente, il locale consigliato dalla
guida, quest'ultima scampata all' "affaire EasyJet" perché Massimiliano
l'aveva consultata durante il viaggio.
Il locale era buio e angusto, sui muri c'erano delle incomprensibili scritte
celtiche e bevendo guinness cominciammo ad assaporare la tradizione dell'Irlanda
ascoltanto dei musicisti intenti nell'eseguire un pezzo tradizionale con strumenti
tradizionali. Dopo una ripartenza con inversione ad U su una larga strada ci
ritroviamo due auto che ci vengono incontro: una tutto a destra, una
tutto a sinistra... c'è qualcosa che non va. Ci lampeggiano, manovra di
emergenza e sosta ai box. Ci guardiamo un po' attorno e realizziamo che la strada,
nonostante le svariate corsie, era a senso unico. Ok, pensare di dover guidare a sinistra non è tutto.
Sveglia, bisognava recuperare i bagagli. Il gestore ci aveva parlato a lungo
della doccia e di come funzionasse e di come certa gente non capisse... noi
eravamo tra quelli. Ma più che altro non avevamo capito qual era il
trucco segreto che permettesse di fare una doccia a temperatura calda e costante.
Poco male, dovevamo andare via. E adesso l'ora della verità: colazione
all'irlandese... roba fritta di vario tipo, una piccola salsiccia trasudante
olio e tè al latte. Dopo qualche minuto di nausea partiamo per l'aereoporto. I bagagli non
sono ancora arrivati. Il tipo continua a ripetere "not yet" tanto che
Stefano pensò si trattasse di un intercalare, invece era la dura realtà. La vacanza
stava andando a vacca: decidiamo di partire verso Nord per andare a vedere
comunque
la Giant's causeway. 'fanculo i luggages, per la strada acquistammo della nuova
biancheria, spazzolino e dentifricio.
Il posto è incantevole ma ovviamente troppo chiassoso per via del sovraffollamento
turistico costituito per lo più da bambini, vecchi pensionati, tre profughi
(noi) e qualche taciturno potenziale serial killer. Si trattava certamente
di una tappa immancabile vista l'unicità delle pietre esagonali disseminate sulla riva o su colonne
a formare delle strane mura, come se i prati verdi delle colline mal celassero
una misteriosa architettura di ignota origine.
Per la sera trovammo posto in un B&B presso Bushmill, un piccolo villaggio
che ci ha permesso di vivere una serata in Irlanda, quella vera, lontano dal
turismo e dalle distorsioni che questo comporta. Ignari del fatto che il piccolo paese
desse il nome ad un rinomato whiskey nazionale, dopo una cena nei giardini pubblici
a base di Cheeseburger ci infilammo in un minuscolo pub (forse l'unico) del paese per bere una guinness. All'interno
c'erano tre tipi di cui uno grosso e tatuato che alla vista di Massimiliano disse;
-Ehi! No Bombs!!- riferendosi all'aspetto vagamente mediorientale di Max dovuto alla sua barba folta e nera.Tornati
in camera per dormire, quando ormai avevamo rinunciato a recuperare i bagagli
il telefono di Stefano squilla, il numero non inizia con +39.... -Hello?- era
l'aereoporto, l'indomani avremmo riavuto le nostre valigie.
Dopo essere tornati a Belfast per recuperare i "luggages" ci dirigiamo verso
Londonderry, luogo del famigerato "Bloody Sunday". Il centro storico è incantevole,
ci sono le mura di cinta che possono essere percorse a piedi nel tentativo
di immaginare come poteva essere lo scenario indietro nei secoli, o semplicemente
ammirando la cattedrale di St Columb. Pranziamo al Java's Café: i sandwiches
avevano un ripieno a scelta, una vasta
scelta, ma non era facile capire cosa ci fosse dentro quelle vaschette dal contenuto
variopinto, sminuzzato e spalmato da varie salse. Dopo qualche penoso tentativo
di farsi spiegare la composizione di quegli intrugli (spazientendo tra l'altro
la tipa dietro il bancone) ripiegammo nel consueto metodo "indicazione con
dito indice" valido anche per comunicazioni inter-specie.
Partiamo per il Donegal nel primo pomeriggio, ultimo rifornimento in sterline
ai confini con la repubblica irlandese. Il tempo, nel senso di weather, si
intristisce, dandoci finalmente una dimostrazione dell'Irlanda così come
la si conosce dai libri e dai racconti degli amici: guida a sinistra su strade
strette e tortuose, bagnate da pioggia improvvisa, il tutto condito da una
canzone tradizionale da un cd procurataci in un negozio di Londonderry
Arriviamo a Sligo verso sera. La piccola cittadina non è delle più semplici
in quanto a viabilità. Si sta facendo tardi e decidiamo quindi di cercare
un Bed&Breakfast, anche perché la pioggia ha ricominciato a cadere
con insolita ferocia. La ricerca non ha molta fortuna, sembra tutto occupato,
il sole sta cambiando longitudine.
Di B&B in B&B ci allontaniamo da Sligo per finire a Strandhill,
dove ci accontentiamo di una camera da due attrezzata per tre in un Hotel.
Il posto è deserto e dopo aver assistito ad un tramonto sull'oceano
ci infiliamo nel minimarket del villaggio in fase di chiusura, attirando anche
in questo caso credo qualche malaugurio da parte delle commesse. Quella che non voglio
ricordare come cena fu una delle più sregolate abbuffate di schifezze
da supermercato della mia vita. La fame si era placata, ma più che
per sazietà probabilmente per disgusto.
Dopo una notte passata su un materasso a terra, tipo giapponese, una colazione
particolare ci attende: le solite salsicce e formaggi lasciano il posto ad
una grossa fetta di salmone con sopra disposto un uovo strapazzato fatto
ad arte, nonostante l'orario insolito, una delizia. Visitiamo Sligo, scoprendo che ha dato i natali al poeta
Yeats cui è stata dedicata una piccola statua modello cobra da rotatoria,
poco ingombrante ma sicuramente di effetto. In generale la cittadina è piccolina
ed almeno a prima vista non sembra offrire molto. Prendiamo un caffè sul
lungofiume e poi partiamo per Galway.
Probabilmente scottati per la sera precedente questa volta ci fermiamo alla prima insegna B&B. Ci sistemiamo in una
stanza a ben 12km dalla città, con
visuale sulla statale e sulle campagne irlandesi, con tanto di cavalli al
pascolo. É qui probabilmente che la vacanza, almeno per me, tocca
il suo apice, quando prendiamo l'auto per il Connemara, una delle regioni
più selvagge dell'Irlanda. Un pomeriggio passato sulle più strette
strade dell'intero viaggio, con l'asfalto che sembrava (e forse lo era davvero)
semplicemente colato sulle colline, come una polenta nera, come il cioccolato
su una torta, seguendone tutte le ondulazioni (come la macchina di conseguenza).
I frequenti muretti in pietra secca non erano certo di aiuto quando ti capitava
di incrociare un'auto in senso contrario. A volte gli specchietti retrovisori
sembravano doversi toccare. Il sali e scendi tra le colline e le torbiere
irlandesi era periodicamente interrotto per ammirare il panorama fatto di
rocce, ruscelli e piccoli laghi dotati spesso di isoletta centrale con due
o tre piante che fa molto pensare ai naufraghi della settimana enigmistica.
Al ritorno costeggiamo l'Oceano Atlantico. Anche in questa occasione ci fermiamo
per goderci la natura. Dopo un vano tentativo di farci una foto vicino ad
una di quelle curiose pecore dalla testa e dalle zampe nere ripartiamo confinati
in una tortuosa strada costiera. Ad un certo punto ci abbandonò persino
la segnaletica stradale: sui cartelli e sull'asfalto comparivano incomprensibili
scritte celtiche.
Riuscimmo a tornare al nostro alloggio per un orario decente. Cena a base di
Fish&Chips a Galway e poi la solita Guinness in un bellissimo pub, enorme, completamente
in legno e dalla struttura piuttosto complessa. Il piano del bancone si affacciava
su un ampio locale come la galleria di un teatro. In basso c'era il palco dove
si stava esibendo una band professionista davanti ad una platea partecipe. Peccato
che per fare qualche metro bisognava lottare, soprattutto per non versare il
bicchiere.
Galway si è presentata ai nostri occhi come la prima città viva, turistica, con
i pro ed i contro che questo comporta. Il centro è molto piccolo ed è lì che
sono concentrati artisti di strada, turisti e venditori ambulanti. Sembrano esserci
parecchi italiani in giro per Galway, forse un po' troppi, o forse era solo l'effetto
dovuto a non aver incontrato nessun connazionale dall'inizio della vacanza.
Sveglia alle 8:00 am ora locale, colazione Irish con italiani in sala, ci ignoriamo
reciprocamente. Quando partiamo per le scogliere Cliffs of Moher il tempo non
è dei migliori, ma in Irlanda si sa... e infatti migliorò in mattinata.
Durante il viaggio ci imbattiamo per puro caso in un piccolo castello in riva ad un lago e al quale dedichiamo una mezz'ora.
Arrivati sulla costa ci fermiamo nuovamente per ammirare l'oceano e respirare
un po' di aria di mare seduti sulla roccia. E' uscito il sole. Dopo aver percorso
le solite tortuose strade secondarie raggiungiamo le Cliffs of Moher: lo spettacolo
è unico, peccato che la presenza di turisti aumenta drasticamente, e con essi gli italiani, facendo perdere alla vacanza
quella sensazione di essere in un posto remoto, quasi in esplorazione, che ci aveva accompagnato fino ad allora.
La vacanza ha quindi decisamente perso quel senso di selvaggio
che aveva all'inizio per rientrare nello stile classico. Ad un certo punto
parliamo anche con un tizio di Perugia con moglie Irlandese. Stiamo per un
po' sul ciglio delle altissime scogliere a fare foto, a goderci il panorama
ed i raggi del sole. Tornando alla macchina ascoltiamo una bellissima greensleeves
cantata da un'artista di strada che suonava l'arpa. Continuiamo a percorrere
la costa indecisi sulla direzione da prendere finché non incrociamo un pitch&putt.
Costringo la compagnia ad un brusco arresto e ad una improvvisata partita a
golf. Sapevo che non sarei tornato dall'Irlanda senza aver impugnato un ferro
e aver zappato un po' di terra. Dato che il pitch&putt non richiede particolari
abilità, patentini, handicap e similari le due palline che ti danno insieme
ad un pitch rognoso ed un putter deformato (da qualcuno che avrà pensato bene
di usarlo come sand wedge) sono in cauzione. Per questo la partita si riduce
ad una frenetica caccia al tesoro il cui obiettivo è trovare più palline di
quelle che perdi. In alcuni punti il tutto si complica perché oltre alla concentrazione
necessaria a non perdere la tua pallina devi schivare quelle provenienti
dalle buche adiacenti. Altro grave errore in cui si può incappare è quello di
disdegnare il gioco corto per lo spettacolo e tirare la pallina oltre la visuale: in questo modo, oltre ad una
quasi certezza di perderla, si può rischiare di cederla al gruppo che precede che se impossesserà
senza troppi complimenti.
Inutile si rivela il cartoncino segna punti in dotazione, dopo le sole prime
tre buche i colpi non vengono più contati e le regole palesemente infrante.
L'anarchico relax termina alla buca 15 quando un acquazzone si abbatte ferocemente
sulla costa proprio mentre mi stavo chiedendo quante palline si fossero accumulate
sulla spiaggia sottostante confinante con il percorso del pitch&putt e non
raggiungibile dal campo di gioco.
L'effetto colazione Irish era ormai terminato e la fame, complice anche la partita,
cominciò a prendere il sopravvento tanto che ci fermammo al primo locale che
incontrammo per strada. Mangiammo ottimamente, soprattutto quando assaggiammo
un sorprendente cheese cake fatto in casa: un contrasto tra caldo e freddo
da un gusto che poco aveva a che fare con il formaggio... superiore...
da applauso... ci tornerei subito solo per quel cheese cake!
La giornata termina a Limerick, città natale dei Cranberries, mi pare,
'sti gran cazzi, aggiungerei. Ci sistemiamo in un B&B nascosto negli anfratti della
periferia ed in serata raggiungiamo il centro per la solita guinness presso un
pub (Bandons?)
con musica tradizionale dal vivo. E' vero che gli irlandesi sono molto disponibili
e cordiali con i turisti: una coppia prima ed un ragazzo apparentemente molto
distante dalla figura del boyscout si fermarono spontaneamente per chiederci
se avevamo bisogno di informazioni. Certo vedere tre italiani che discutono come
loro solito rumorosamente e con la cartina della città stesa sul cofano
dell'auto sicuramente ha dato l'impressione che fossimo in difficoltà,
in realtà si stava solo decidendo dove dirigersi e perché. Dopo la birra, una passeggiata
tra le costruzioni in mattoni che fanno molto New York o periferia londinese e poi ritorno all'alloggio.
Partenza da Limerick per Dublino. Dopo un primo interminabile tratto
di traffico pesante riusciamo a tenere una buona media. Non abbiamo una carta
della città molto dettagliata, tracciamo un percorso di massima che
però si rivela efficace grazie alla segnaletica stradale e alla posizione dei nostri
alloggi. Avevamo in questo caso prenotato prima della partenza una stanza presso
il campus universitario di Dublino. Rispetto ai soliti bed and breakfast le
stanze sono di scarsa qualità, ma alla fine si tratta degli alloggi
per gli studenti.
Inoltre ci rendemmo conto, un po' tardi, che non eravamo soli! Quando mi
sistemai nella mia stanza non potei fare a meno di pensare a quanti studenti
fossero passati di lì e quanti altri ancora avrebbero studiato in quell'
angusto angolo. Poggiai la borsa sul letto come se fossi uno di quegli studenti,
cercando di immaginare la vita da fuori sede che non ho mai fatto. Guardai l'enorme
campus semideserto dalla finestra fantasticando sull'imminente apertura dei
corsi; senza troppi sforzi visto che a Dublino c'era già l'aria di settembre
(almeno quel giorno). In giornata arrivò un pullman pieno di ragazzi...
italiani. Ormai era chiaro: Dublino d'estate è una città italiana,
così come lo era il caffè che bevemmo in un centro commerciale, presso un bancone made in
Italy (il solito Gino's, Tonino's o non mi ricordo cosa...).
Andandocene a spasso per il centro ci rendiamo subito conto che ci troviamo in
una città decisamente differente dalle precedenti: multirazziale, viva, caotica ma comunque a
misura di uomo, come si suol dire. Lasciamo la macchina in un parcheggio a pagamento e visitiamo il
quartiere notturno "Temple bar", moderatamente animato anche di giorno,
poi via O'Connel ed Henry St. dove poter fare shopping anche smodatamente.
Quando torniamo al campus UCD la sbarra all'ingresso è chiusa, scendo
per chiedere informazioni alla guardiola: dentro c'è un tipo anziano e dietro un giovanotto ricciolino
in divisa. Chiedo informazioni.
« Oh Jesus! » fa il tipo anziano, provocando il riso del giovane
e poi continua a blaterare cose che non capisco ma è evidente che mi sta prendendo
per il culo... Dov'è finita la proverbiale gentilezza irlandese?
La sera torniamo a Temple Bar. Il caos è totale e dovuto ai turisti ubriachi
o semplicemente in cerca di divertimento e addii al nubilato. Beviamo per coerenza
mezza pinta di Guinness al bar che dà nome al quartiere (o viceversa), una Carlsberg per cambiare, mangiamo
Kebab e poi rientriamo in un pub chiedendo all'incredulo barista un Irish Coffee...
noi andavamo in giro con la giacca e fuori c'era gente in maniche corte, dentro si beveva birra fresca
e noi ordiniamo un cocktail bollente, sì, eravamo poco affini all'ambiente ma
eravamo curiosi di assaggiare l'Irish Coffee originale... e direi che non fosse necessario,
non abbiamo notato sostanziali peculiarità autoctone.
Dopo una lunga passeggiata riprendiamo l'auto. Massimiliano è stanco ed
un po' intorpidito dall'alcol ma "gli va di guidare" dice. L'uscita dal parcheggio non è delle
migliori (urtiamo l'auto dietro divertendo un po' di passanti) e poi proseguiamo a caso
nella città, con un po' di suspence e privi dell'ausilio della cartina,
fino ad arrivare al porto. Il rientro risulta un po' difficoltoso ma alla fine
torniamo sani e salvi.
Non dovendo affrontare viaggi questa volta ci svegliamo con calma. Cerchiamo
un parcheggio "cheaper" e, dopo alcuni inconcludenti avvitamenti urbani ci
ritroviamo in di nuovo in un carissimo parcheggio al coperto. Prima
di ripartire ci sono alcuni posti "classici" da visitare:
Prima tappa: visita al Trinity College, dove si respira l'austerità delle
vecchie università vittoriane. L'interminabile coda formatasi all'ingresso
per il museo interno (dove è costudito un Vangelo illustrato) ci distoglie
dal voler entrare. Ripieghiamo sui giardini dove scopriamo esserci una scultura
di Pomodoro e vediamo passare suonatrici d'arpa che sembrano aver strappato la pinna ad un grosso
squalo (tale è la forma dello strumento una volta chiusa nella custodia).
Seconda tappa: rapida visita al "Dublin Castle" del quale resta qualche muro ed
una torre. All'interno ci sono alcuni artisti che stanno realizzando delle
sculture di sabbia tanto belle quanto effimere.
Terza tappa: ci imbattiamo in diverse chiese di stile gotico prima di raggiungere
la cattedrale di St. Patricks dove una ragazza in bici viene colpita ad una
mano dallo specchietto di un'auto che procedeva nello stesso senso di marcia,
solo un po' di spavento. La fame ha la meglio sulla cattedrale e l'invitante
prato antistante. Ci rechiamo nel pub/ristorante più vicino dove gli
avventori guardano una partita di calcio probabilmente importante. Altro tipico
piatto a base di pollo, verdure, formaggio e salse a scelta; non male.
Quarta tappa: visita al santuario della birra: la Guinness Store House. Quando
arriviamo ci colpisce subito l'odore forte e dolciastro del malto in fermentazione.
La vecchia distilleria è stata trasformata in un museo che raccoglie campioni
dei vecchi arnesi e degli ingredienti utilizzati in passato. In evidenza, all'ingresso,
chiuso in una teca di vetro sotto il pavimento, il leggendario contratto di
affitto dello stabile per la durata di 9000 anni stipulato da Sir Arthur Guinness.
Al settimo piano, godendo di una vista a trecentosessanta gradi sulla città
(non troppo entusiasmante a dire il vero) ci viene "offerta" una degustazione
di una pinta di Guinness.
Torniamo al centro per gli ultimi acquisti con le gambe a pezzi (almeno le mie)
e come se non bastasse non riusciamo a ritrovare il parcheggio a pagamento dove
avevamo lasciato l'auto... un errore da principianti! Chiediamo informazioni
nella zona dove dovrebbe essere il QPark ma della via nessuno sa nulla: ci viene
il sospetto che quella indicata sul biglietto sia solo la sede legale. Decidiamo
alla fine di ripercorrere il tragitto fatto con l'auto partendo da Merrion Square.
Per facilitarci nell'intento comincia a piovere.
Finalmente in auto torniamo verso l'UCD. L'indomani avremmo ripreso il volo per
Roma. È curioso come una volta tornati in Italia, lungo un breve tratto a doppio senso
di marcia (per lavori di manutenzione autostradali), incrociando un' auto proveniente in senso contrario
sia io che Stefano abbiamo avuto la stessa spiacevole sensazione di
imminente impatto frontale... ormai ci eravamo abituati alla guida a sinistra!
Alessio